La scrittrice e attivista pro-Gaza, Cecilia Parodi, è al centro di un’indagine condotta dalla Procura di Milano, che la vede accusata di “istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa” e di diffamazione aggravata dall’odio razziale. L’inchiesta è scaturita a seguito della denuncia presentata dalla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto e testimone dei tragici eventi del lager di Auschwitz.

L’episodio incriminato risale a un video che Parodi aveva pubblicato su Instagram, nel quale avrebbe usato espressioni antisemite rivolte proprio a Segre. La situazione è ulteriormente degenerata quando, rispondendo a un commento di un utente, Parodi ha pronunciato affermazioni come “odio tutti gli ebrei, odio tutti gli israeliani, dal primo all’ultimo”. Queste parole hanno portato la Procura a formulare non solo l’accusa di diffamazione aggravata, ma anche quella di istigazione a delinquere.

Il video, contenente ulteriori dichiarazioni contro gli ebrei, aveva già attirato l’attenzione pubblica a luglio, suscitando l’indignazione di vari esponenti politici. In particolare, i membri di Fratelli d’Italia della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza avevano annunciato l’intenzione di portare il “caso Cecilia Parodi” all’attenzione della commissione.

Con la denuncia di Segre, il fascicolo è stato ufficialmente aperto dalla Procura di Milano, che dovrà ora valutare non solo la fondatezza delle accuse, ma anche eventuali questioni legate alla competenza territoriale per le indagini. Non è escluso che, se necessario, gli atti di indagine possano essere trasferiti a un’altra sede giudiziaria, qualora si ritenga più appropriato per la prosecuzione delle indagini.

È giusto o sbagliato considerare l’espressione di odio verso un gruppo etnico o religioso come istigazione alla violenza, anche se non si incita esplicitamente ad azioni violente?